Le radici

Chiara Pedrocchi
4 min readApr 9, 2022

Sulla panchina sotto il porticato, usata da trampolino per arrivare alla finestra, c’era ancora l’impronta dello scarpone. Sono entrati dal piano terra, saliti fino al primo piano e da lì, per arrivare al secondo, si sono arrampicati per poi appendere un lenzuolo al terrazzo, utile per scendere più in fretta dopo aver fatto baldoria dentro casa. Non hanno preso niente, ma hanno bevuto gli amari che erano nell’armadio e mangiato i ghiaccioli che erano nel congelatore. Sul letto di mio fratello c’era il segno di qualcuno che vi si era sdraiato, e in camera mia i cassetti erano stati aperti e ci avevano frugato dentro, mettendo in disordine il mio disordine e non curandosi di cosa potevano significare quelle mani affondate senza rispetto nei miei ricordi, nelle mie lettere e nelle mie fotografie.

Fare ritorno qui è una sfida e un’avventura. Non lo è per quello che è successo: le tracce dei fantasmi che sono passati di qua sono sbiadite e cicatrizzate. Ma questo posto ha su di me lo stesso potere ed effetto: fruga dentro senza pietà, senza sosta, senza ritegno. Venire qui significa essere pronti ad affrontare tutto questo.

Quando ero piccola mi faceva piangere. Non è vero. Quando ero molto piccola venire qui era bello: ho una foto con mio fratello sotto la betulla che c’è in giardino e su cui ci arrampicavamo come scimmiette. Nella foto, mangiamo un ghiacciolo all’amarena, e io spesso vorrei solo catapultarmi in quel momento. Giocavo in giardino con il cane di nonna, frignavo un po’ quando andavamo a fare le passeggiate, ma alla fine mettevo il turbo e andavo velocissima. Mi chiamavano “cerbiatta”. Poi venire qui ha iniziato a farmi piangere. Lo facevo il minimo indispensabile, lo rifiutavo, usavo la noia come pretesto: non ero pronta. Fare ritorno qui mi fa piangere tantissimo anche adesso. Ma lo accetto: è la fatica della cura.

Questo posto è magico. Se ve lo dice una quasi antropologa, allora vi dovete fidare. O forse no. C’è un film di cui non sono grande fan (scusate tutti), ma che a un certo punto dice che alle scale piace cambiare. A questo posto, anche. Ogni volta che vengo scatto una o più fotografie dalla finestra della mia stanza, e ogni volta c’è qualcosa di diverso. La valle cambia i suoi colori, il suo profumo e i suoi rumori non solo con l’alternarsi delle stagioni, ma anche con il passare degli anni, cresce con me. E poi ci sono le cose che ancora non sono cambiate, e che donano al paese quel senso di familiarità di cui un po’ necessito: ci sono le campane che suonano ogni ora e a mezzogiorno, c’è la montagna più alta della zona a vegliare su chi abita sotto la sua protezione, c’è la grossa croce dritta sulla cima di un’altra montagna, e il profumo di cibo per le strade all’ora di pranzo, la domenica.

Quando è morta una delle due nonne (la prima ad andare via: in meno di quattro anni sono morte sia loro che mia zia) ho scattato una foto e d’istinto come didascalia ho aggiunto le radici / stai tranquilla. Poi mi sono chiesta perché: questo posto mi ha fatta soffrire, abbiamo spesso litigato, ci siamo schiaffati in faccia i nostri peggiori difetti, le nostre colpe, tutta la paura del mondo.

In camera mia c’è un baule verde, molto grande. Ogni volta che lo apro ci trovo qualcosa di diverso. Come nel cassetto, anche qui sono arrivate mani indiscrete. Che lo abbiano reso magico? Ci trovo ricordi che non so come ci siano arrivati, e che mi danno le risposte di cui, senza saperlo, ho bisogno. Stamattina, oltre a dei vecchi medicinali, una delle mie magliette preferite e persino un cioccolatino che mi aveva regalato la prima persona con cui ho fatto l’amore, ho trovato un barattolo di vetro. Sul tappo, ricoperto con un cartoncino blu, c’è scritto l’infini. Dentro, dell’acqua colorata di blu e dei brillantini. A 20 anni avevo letto che fanno fare questo lavoretto ai bambini per placare l’ansia, e l’avevo fatto anche io.

Ogni volta che torno qui le cose sono cambiate, ultimamente non solo (e non proprio) in meglio. Qui ci sono ancora le persone che non ci sono più, ma ci sono in modo diverso. Ci sono tutti i silenzi che altrove non so trovare, c’è su me stessa lo sguardo più tagliente, introspettivo e produttivo che altrove i filtri mi impediscono, c’è tutto il dolore e la bellezza della rinascita. Qui c’è la vita che fluisce, e ci sono la magia e il miracolo del cambiamento lento e gigantesco in un posto che, per chi qui non sente le sue radici, non saprà neppure avvertire. Io per anni ho pensato e creduto di non averne e non volerne: invece eccole qui.

Le radici

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